La "Fotografia Indiziale"

La magnificenza della fotografia apparsa sul finire del secolo XIX è la risultante di alcuni processi elettro-chimico-fisico: da lettori di realtà educati dai nostri sensi alla fisicità del mondo il risultato

ultimo si è concluso essere un artificio, un’immagine, una sintesi verosimile di ciò che ci circonda.

Le contraddizioni riservano anche delle sorprese positive

In genere si dice che la luce è una forma di energia e in realtà è una forma di energia elettromagnetica poco diversa dalle radioonde, da calore e dai raggi X.

La loro caratteristica comune è la natura ondulatoria che come tale si propaga, devia, si sovrappone e reagisce contro un ostacolo.

Ma se chiedete a un fisico che cosa è la luce, vi risponderà che, come le altre onde elettromagnetiche la luce è in effetti una forma di materia, poco diversa da cose concrete.

Le particelle di luce, dette fotoni, viaggiano in sciami all’incirca come le gocce d’acqua che sgorgano da una canna per innaffiare; quando un fotone colpisce qualcosa, impartisce un urto percettibile, proprio come le gocce d’acqua.

Indice o icona?

Ci troviamo di fronte ad un apparente paradosso: la luce ha caratteristiche ondulatorie e corpuscolari. Che la fotografia sia allora un «INDICE» piuttosto che un’«icona» cambia molte cose. Abituati come siamo a considerarla per il suo valore iconico di immagine, il cui legame con la realtà è dettato dalla somiglianza, la guardiamo allo stesso modo di un dipinto o di altra forma di rappresentazione. Ma se il legame della fotografia con la realtà è invece di ordine «indiziale» ovvero «fisicamente forzato» come specifica il semiologo Peirce, dato da una connessione materialmente prodotta dal referente, come l’impronta del piede nella sabbia allora il nostro rapporto con la fotografia e il modo di intenderla cambia. Questo «miracolo» della luce ha significato di traccia, impronta, nonché di sintomo aprendosi dal punto di vista teorico alle suggestioni di ordine psicanalitico, filosofico che questi termini richiamano. La fotografia registra un sintomo, un segno: è uno statuto di prova, è una testimonianza muta.

Teoria dei quanti ed interpretazione relazionale

Il cuore dell’interpretazione relazionale della teoria dei quanti è l’idea che la teoria non descriva il modo in cui gli oggetti quantistici si manifestano a noi o a speciali entità che osservano.

Descrive come qualunque oggetto fisico si manifesti a qualunque altro oggetto fisico.

Gli osservatori sono a loro volta osservati in una relazione che condiziona entrambi i campi di osservazione.

Il linguaggio della fotografia

Trovo che il linguaggio della fotografia chimica sia quello più banalmente immediato ed esemplare per farci comprendere tutto questo.

Occorre toglierci di dosso un filtro culturale pesante, una modalità di pensiero ben strutturata dalla ragione, e mutare l’idea che la fotografia o qualsiasi altra modalità di fruizione della realtà sia una

rappresentazione della stessa: no è una delle molteplici modalità con la quale noi entriamo in relazione con la realtà ed ha lo stesso valore conoscitivo ed esperienziale di qualsiasi altra modalità di relazione con l’altro, l’altrove, il di fuori, l’osservato.

The "Inditial Photograph"

The magnificence of photography that appeared at the end of the 19th century is the result of some electro-chemical-physical processes: from readers of reality educated by our senses to the physicality of the world, the final result concluded to be an artifice, an image, a synthesis likelihood of what surrounds us.

Contradictions also hold positive surprises

It is generally said that light is a form of energy and in reality it is a form of electromagnetic energy little different from radio waves, heat and X-rays.

Their common feature is their undulatory nature which as such propagates, deflects, overlaps and reacts against an obstacle.

But if you ask a physicist what light is, he will answer that, like other electromagnetic waves, light is in fact a form of matter, little different from concrete things.

The particles of light, called photons, travel in swarms much like drops of water from a garden hose; when a photon hits something, it imparts a perceptible shock, just like water drops.

Index or icon?

We are faced with an apparent paradox: light has wave and corpuscular characteristics. That photography is then an "INDEX" rather than an "icon" changes many things. Accustomed as we are to considering it for its iconic value as an image, whose link with reality is dictated by resemblance, we look at it in the same way as a painting or other form of representation. But if the link between photography and reality is instead of an «indicial» or «physically forced» order as the semiotician Peirce specifies, given by a connection materially produced by the referent, such as a footprint in the sand, then our relationship with photography and the way of understanding it changes. This "miracle" of light has the meaning of a trace, an imprint, as well as a symptom, opening up from a theoretical point of view to the suggestions of a psychoanalytic and philosophical order that these terms refer to. Photography registers a symptom, a sign: it is a statute of proof, it is a silent testimony.

Quantum theory and relational interpretation

At the heart of the relational interpretation of quantum theory is the idea that the theory does not describe how quantum objects manifest themselves to us or to special observing entities.

It describes how any physical object manifests itself to any other physical object.

The observers are in turn observed in a relationship that conditions both fields of observation.

The language of photography

I find that the language of chemical photography is the most trivially immediate and exemplary for us to understand all of this.

We need to get rid of a heavy cultural filter, a way of thinking well structured by reason, and change the idea that photography or any other way of using reality is a representation of it: no, it is one of the many ways in which we we enter into a relationship with reality and it has the same cognitive and experiential value as any other way of relating with the other, the elsewhere, the outside, the observed.