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Il Poema di Atraḫasîs
Lavoratori "primitivi": perché è nato l'uomo
Il Poema di Atraḫasîs
Il più antico manoscritto di questa opera è firmato e datato da un “giovane scriba”: il suo copista (l’autore, del resto, ovviamente è sconosciuto) risponde al nome di Kasap-Aya ed ha eseguito il lavoro sotto il quarto successore di Ḫammurabi, Ammiṣadǔqa (1646-1626 a. C.).
Col Poema del Grande Saggio ( Il Poema di Atraḫasîs), non abbiamo di fronte una qualsiasi storiella strutturata in modo tale da costruire la chiave di un determinato problema ma nel suo sviluppo spiega la posizione dell’Uomo nell’Universo, il significato della sua esistenza e la natura della sua condizione.
Tutto qui è incentrato sull’Uomo: prima e dopo la sua comparsa.
PRIMA DELL’UOMO.
Soli esistono gli dèi: quando la narrazione inizia, essi esistono come fossero sempre esistiti.
E il seguito gravita a tal punto intorno all’Uomo che, volendo presentare gli dèi come erano in effetti, ci viene detto che “ (fanno) l’uomo” – in altre parole, si comportano come gli uomini si comporteranno più tardi, quando saranno stati creati.
Gli dèi sono dunque, innanzitutto, come gli uomini saranno, divisi in due categorie, due “classi”:
i capi-Anunnaku, unicamente preposti a dirigere e semplici consumatori, e che fanno lavorare gli altri, e i produttori-Igigu, che lavorano per vivere e far vivere i propri superiori.
Oberati da un tal smisurato lavoro, gli Igigu finiscono col protestare: uno di essi li incita se non ad una vera e propria rivolta per lo meno a rifiutarsi di lavorare.
“Altezza(?), con te, nel cielo
Mantieni (?) la tua autorità e ne fai uso (?):
Mentre gli Anunnaku siedono in tua presenza ,
Fai comparire uno (di questi) dèi
E che lo destini ad un castigo supremo!”
Ma ( il dio ) Anu aprì la bocca
[ E si ri]volse agli dèi , suoi fratelli:
“Perché li [con]danneremmo?
Pesante era il loro lavoro, inf[inita] la loro
fatica!
[Ogni gio]rno […].
[Il loro grido di aiuto] era [cosa pen]osa:
[Noi (li) abbiamo u]diti vociferare…
[Ogni gio]rno […].
[Il loro grido di aiuto] era [cosa pen]osa:
Ma vi è [ un rimedio a tutto ciò?]:
Poiché [ Bêlet – ilî, la Matrice] è qui,
Che fabbrichi un prot[otipo-d’uomo]:
E’ lui che porte[rà] il giogo [degli dèi (?) –
[Chi po]rterà il giogo [degli Igigu (?]:
[E’ l’ Uomo, che sarà caricato] della loro
[fati]ca!...
Il dio Enki (E.A.) penserà dunque a questo progetto geniale all’altezza della sua intelligenza, astuzia, saggezza e conoscenza. Per comprenderlo bisogna prima rendersi conto che, se la sua idea è sì di creare nuovi esseri per sostituire gli dèi venuti meno,cioè gli uomini, essi dovranno essere ben simili al fine di compiere lo stesso compito e altresì differenti perché non si rischi di vederli un giorno reclamare a loro volta, in nome di una stessa natura, un uguale destino e decidere quindi di sospendere il lavoro.
E’ per questo che Enki/E.A. sceglie di creare un essere composito.
Il Poema di Atraḫasîs è, in verità, la più antica “Genesi” a noi nota, il più antico sforzo culturale che l’umanità abbia compiuto per comprendere se stessa, le ragioni e i modi della propria esistenza e il senso ultimo della vita, per ridurre a qualcosa di comprensibile, in accordo con quelle regole di pensiero, ciò che diversamente sarebbe stato un ammasso informe e un’assurdità agli occhi di uno spirito ancora lontano dal nostro livello tecnico e scientifico, ma che rifletteva e si poneva domande sulla realtà.
























